In AGGRO DR1FT Harmony Korine, più di altre volte, mette in discussione le convinzioni che ha lo spettatore nei confronti del “cinema”, ironizzando sui quell’impossibilità di incasellarlo/definirlo nell’epoca fluida in cui ci troviamo. Un’operazione che subisce quest’idea, la esplora nelle potenzialità, ma senza rispondere mai a quesiti ideologici o teorici, probabilmente superflui a fronte di un’epoca che continua a manipolare il concetto di audiovisivo. In quest’ultimo film di Harmony Korine ogni corpo sprofonda in una dimensione estetica totalizzante in cui i suoi “colori fluorescenti” raccontano di un’esistenza contraffatta e allucinata nelle proprie coordinate/valori. Un “cinema” in costante crasi con forme e artifici riconducibili ad altri media per abbracciare quella rivoluzione formale che di volta in volta mette in discussione le varie definizioni e i confini. Elementi che inglobano altri elementi al servizio di un’opera che crede nelle immagini quanto crede di poter accogliere ad una storia. Ad emergere è infatti la possibilità di un post-uomo/ cinema, di uno spazio invisibile e metafisico in grado di poter tirare le fila di un intreccio sfruttando le potenzialità tecniche e sensoriali di queste nuove immagini. È il manifesto di un’opportunità di affermare miti e immaginari anche la dove i linguaggi sono collassati tra loro, dando vita ad un’ultima odissea crepuscolare. Bisogna credere per poter raccontare. Bisogna vedere per poter credere. Ed è forse per questo che Harmony Korine si oppone ad ogni convenzione e convinzione per illustrare la possibilità di un “cinema”, o di racconto, mettendo in pratica/in evidenzia le potenzialità dell’audiovisivo.

Anche i personaggi di AGGRO DR1FT ripongono la loro fede in qualcosa: soldi, donne, morte, potere o amore. Un’insieme di credenze così forte da far del film, sia nel ritmo dalla narrazione che in alcune scelte musicali, una cantilena/liturgia. Dalle battute ripetute sotto cadenza fino ad arrivare a momenti di pura esibizione/performance, tutto nell’ultimo lavoro di Harmony Korine sembra esprimere fiducia in quel che si possono definire i nuovi sistemi. AGGRO DR1FT, almeno sotto questo aspetto, appare come un rituale in cui ogni artificio è pensato per rendere intellegibile il corpo umano in un mondo che si è fuso con i propri immaginari/linguaggi. Corpi fatti di pura estetica, potenzialità creativa: tangibili e reali, a tratti inconfutabili nella loro energia vitale. Un rituale pensato (probabilmente) per svincolare le narrazioni dagli schemi passati e formulare una  edm-opera in grado di accogliere dentro di sé varie declinazioni dell’audiovisivo. A metà strada tra l’essere un videoclip, un videogioco e un’installazione artistica, il film di Harmony Korine posiziona ogni elemento in uno spazio febbricitante che punta carpire “l’anima” di quel che inquadra.

La scelta della camera ad infrarossi, unita all’utilizzo dell’intelligenza artificiale, fa del mondo della narrazione un’oggetto metafisico nel mirino di un regista che punta ad evidenziare i germi che silenti hanno contaminato il cinema da più di un decennio. AGGRO DR1FT però racconta anche di un’umanità fusa con i propri linguaggi e retaggi, indistinguibile da ciò che vede perché è quel che vede. La visione termica infatti appare come una scelta pensata per plasmare gli ambienti del film come se fossero nelle mira di un killer notturno. Tra linguaggio alto e basso, tra il ricercato ed il volgare, AGGRO DR1FT si pone ad espressione di una cultura con i propri idoli. La scelta di posizionare all’interno del cast Travis Scott, nonché quella di far firmare la colonna sonora al DJ AraabMuzik, è indice di quanto appena detto poiché simboli di un costume con il quale film si riveste per rendere l’artificiale più umano, lingua di un sentimento. Un progetto che è più movimento artistico che cinema in senso stretto, per quanto possa ancora esistere. AGGRO DR1FT però, proprio come accade con Spring Breakers, è un’opera capace di parlare indirettamente anche di solitudine e smarrimento, di corpi inghiottiti da sistemi, ideali e immaginari fuori controllo e colossali rispetto a loro.

Dropping bodies
Dropping souls

We will dance, my friend

Emblematica di ciò è la scena in cui il protagonista, interpretato da Jordi Mollà, sembra quasi venir sommerso da un mare di colori, quasi a testimoniare la resa di un genere a fronte di tutti quei estetismi che lo hanno attraversato e rivoluzionato negli ultimi anni.

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