La prima inquadratura non mente: ‘X’ è un film dentro un film. Un cinema che ne contiene un altro in piena soluzione di continuità. La carrellata iniziale che ci conduce, senza taglio alcuno, da un 4:3 ad un formato ben più moderno è testimone di quanto detto. Il rapporto con il passato è perciò simbiotico, per quanto perverso e ricolmo di conflitti. Il debito contratto con la filmografia di Tobe Hooper è palese, utile per far muovere i personaggi all’interno di un territorio in cui il vecchio e il nuovo si sovrappongo e si scontrano, sia a livello testuale che di metatesto. L’utilizzo dello split screen e del montaggio ad “intermittenza”, ma anche del doppio ruolo di Mia Goth, è indice di uno spazio scenico conteso, espressione di una memoria/ricordo che pervade il genere e l’opera in questione (nonché il personaggio di Pearl). Proprio come l’anziana antagonista insegue “le proprie forme perdute“, così il film di Ti West mediante un continuo gioco di accostamenti e rifacimenti si muove in funzione del passato: dalla scene del lago con l’alligatore, riprese da Quel motel vicino alla palude, fino ad arrivare alla sequenza surreale in cui Pearl/Maxine si scambiano durante un amplesso. Immagini che ne contemplano altre in una dimensione narrativa in cui lo sguardo divora ancor più del tempo. “È lo stesso film che si ripete”, ad eccezion fatta del modo in cui ‘X’ ha di rileggersi e di interrogare la fenomenologia dei propri rifacimenti e di cambiare direzione in base a questo.
L’atto di rivivere e rielaborare le atmosfere del passato per esplorarle attraverso il presente ha un che di pornografico e perverso, frutto di un’ossessione che intrappola i personaggi all’interno di uno sguardo perenne. In tutto ciò il culto per le immagini, il genere e il cinema è ancor più radicale di quello religioso (e contraddittorio) che Ti West evidenzia fin dai primi minuti. Il doppio ruolo dato a Mia Goth, Maxine e Pearl, è anche espressione di ciò, di un cinema diviso tra due estetiche e ambizioni, in pieno conflitto con se stesso, paradossale nel suo essere sia vittima che carnefice. Se davvero stiamo vivendo un periodo storico in cui sempre più registi sono portati ad interrogare il passato per poter raccontare la contemporaneità allora ‘X‘ è parte, ironica e volontaria, di questo processo. Il racconto di un’impossibilità di affermarsi nel presente senza essere rincorsi da un passato permeato di fanatismo, deformante nelle proprie ossessioni (trucco di Pearl/Mia Goth).

La morale religiosa che i giovani protagonisti mettono in discussione non è altro che una facciata, blanda propaganda mediatica e retaggio culturale. Un discorso che verrà poi ripreso e ampliato nel prequel ‘Pearl‘ attraverso un’estetica dai colori sfavillanti e da brochure, confezione farlocca per un paese disfunzionale e contraddittorio nelle proprie convinzioni. L’America “religiosa” in ‘X’ quindi è soltanto una maschera, pura contraffazione del reale. Il fanatismo, all’interno della filmografia di Ti West, è paragonabile ad uno spazio circoscritto e fasullo/precostituito, paradossale in ogni tentativo di emancipazione/riscatto. Un discorso che può essere traslato anche al modo che quest’opera ha di riproporre luoghi, modelli e situazioni legati al B-Movie anni ’70/’80 e in particolar modo alla filmografia di Tobe Hooper.
Il palcoscenico di ‘X’ è puro rifacimento, un gioco per cinefili che inizia dall’incipit alla ‘Texas Chainsaw Massacre‘ che nel suo rifarsi continuamente a se stesso, elude qualsivoglia orizzonte. In tutto ciò il film vive la sua ambiguità, riproponendo con successo le atmosfere grottesche del genere a cui si ispira per metterle al servizio di nuove ossessioni, figlie di quest’epoca e del suo rapporto disfunzionale con il passato e il sentimento della nostalgia. Il resto è puro paradigma/gioco di genere in cui l’atto voyueristico è il compimento ultimo per l’atto metanarrativo portato avanti. L’ossessione per le immagini del passato, soprattutto per quelle divenute oggetto di culto, si rivela così disfunzionale, culla di un audiovisivo che divora se stesso: propria come un’America vecchia e bigotta che prevarica le nuove generazioni, consumandogli ogni forma di vitalità e possibilità.
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