Hollywood trasforma ogni tragedia in una farsa e la vita di Maxine non è da meno. La dimensione metacinematografica in ciò è palese: un film thriller/giallo da serie B in cui un assassino mascherato e il suo scagnozzo inseguono la protagonista attraverso vari set, facendole rivivere l’incubo del primo capitolo della trilogia. “La Puritana II”, opera in cui Maxine è chiamata a recitare per tentare il successo, non è altro che un inside joke basato su questo concetto. Un film dentro al film per sottolineare il processo di macchinazione/finzione a cui è sottoposta l’intera operazione. Emblematica è la sequenza del calco facciale in cui Mia Goth rivive il dualismo di X: A Sexy Horror Story, ma in modo totalmente destrutturato.

Una scena per svelare l’inganno del passato, per palesare la maschera e compromettere l’integrità dell’immagine. Un’immagine che non è altro che uno specchio per le allodole, un inganno per chi non sa scorgere la contraffazione e la politica che ne detta le coordinate. Maxxxine chiude così un discorso lungo tre film e lo fa con il lungometraggio in cui il fanatismo religioso collima di più con l’aspetto fuorviante e manipolatorio dei media. Dai filmati amatoriali girati dal predicatore Ernest Miller alla saga de ‘La Puritana’, sono molti gli aspetti che sottintendono il cinema come uno strumento con le medesime criticità di un culto sacro. Un meccanismo atto alla propaganda, predisposto a mostrare il fianco ad ogni tipo di idolatria e fuorviante/vuoto nei propri simboli.

Non è un caso infatti che l’intera saga sia sviluppata all’interno di un territorio da fandom in cui l’omaggio si evolve a rielaborazione contenutistica per indagare il presente e le sue ossessioni. Dalla filmografia di Tobe Hooper (X: A Sexy Horror Story) al cinema 30’s/40’s di Douglas Sirk e Victor Fleming (Pearl), gran parte della trilogia di Ti West si basa su ambienti e modelli che fanno da doppio gioco tra lo spettatore e la protagonista. Il Bates Motel di Psycho, ad esempio, non è una struttura vuota e finta solo per il personaggio di Maxine, ma lo è anche, se messa in prospettiva a quanto detto, per il pubblico cinefilo che si fa sedurre dal medium. Un pubblico succube del proprio fanatismo, ossessionato dai miti del passato e affetto da una radicale nostalgia.

Maxxxine‘, alla luce di quanto detto, non è altro che la resa dei conti con un modo di percepire il cinema e i suoi immaginari, nonché il confronto ultimo con il sogno della protagonista e della sua “antenata”. La sequenza della casa di Psycho, in cui il “fantasma” di Pearl osserva Maxine, è un po’ la sintesi questa riflessione: L’X trilogy è un’immagine incasellata nel cinema del passato per riflettere sulle dinamiche del presente, sul modo di consumare e intendere il medium. Un film in cui ogni finzione è messa in primo piano e i vari personaggi da B Movie fungono da cornice per il genere, rendendolo ancora più plateale nell’atto della messa in scena. Il serial killer, a metà strada tra Alfred Hitchcock e Mario Bava, ne è un esempio. L’idea di usare un assassino mascherato, la cui identità è palese fin dalla prima sequenza, non è altro che l’espressione di un pensiero che pone Hollywood come contraddittoria nei suoi stessi compromessi (morali e non).

Ciò che differisce da X: A sexy horror story e Pearl è l’atto finale, la volontà di intendere Hollywood come tempio di ogni contraddizione, idiosincrasia e ossessione americana: raccoglitore ultimo per ogni tipologia di narrazione. L’epilogo, ambientato a metà strada tra una loggia massonica/religiosa e le colline di Los Angeles (sotto la celebre insegna), è sintesi di quanto detto. Padre e figlia, uno di fronte all’altro, simboli di un’America che divora se stessa e genera mostri. Mostri in cui si identifica e di cui venera i valori sotto una falsa facciata di perbenismo. Il personaggio di Maxine in questo ne è l’espressione massima: attrice porno chiamata a recitare il ruolo di una puritana e destinata diventare, proprio grazie a quel ruolo, un’imbellettata diva di Hollywood. In ciò Mia Goth è, ed è sempre stata, un corpo/strumento nella mani di Ti West per smascherare i valori precostituiti dei sistemi presi in considerazione durante la trilogia. La scena della soggettiva, in cui la camera da presa diviene un oggetto tangibile attraverso la materia del personaggio, può essere intesa come espressione di tale concetto.

“In this business, until you’re know as a monster, you’re not a star”

Il medesimo concetto, ma proposto a teatro in Pearl (2022)

Maxxxine‘ però, ancor più di Pearl, finisce con l’essere vittima delle sue stessa meccaniche, senza riuscire mai a sviluppare i contenuti che si porta appresso fin dal primo film. Una conclusione che, per quanto appagante sotto certi aspetti, risulta ugualmente stucchevole nel suo proporre, per l’ennesima volta, un panorama fatto di stilizzazioni e giochi con il genere di riferimento. Un modus operandi che, a fronte dei temi e dei contenuti già affrontati ed esplorati nei capitoli precedenti, porta il film ad essere alla stregua di un quadretto bidimensionale. Un giochetto che, per quanto funzionale con gli intenti e le riflessioni dell’operazione, porta l’intera visione ad accartocciarsi su se stessa, finendo vittima delle sue stesse meccaniche.

Leggi la recensione di X: A Horror Story: [CLICCA QUI]

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Classificazione: 2.5 su 5.

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