Per quanto la messa in discussione di un’icona possa generare un coerente snaturamento dell’immaginario ad essa legato, quel che accade in Joker: Folie à deux risulta contraddittorio alla base, nonché limitato da una mancanza di organicità da parte del testo. Se il sopravvento di una dimensione parossistica, dovuta al cambio di genere (da thriller/noir a musical), unita alla volontà di ripercorre tutti i simboli e i luoghi del primo film per de-mitizzarli attraverso una loro riproposizione farsesca, riesce ad apportare un significativo cambio di rotta alla saga, ponendo al centro di tutto uno sguardo moralistico capace di ri-inquadrare eticamente i temi e i personaggi dell’operazione precedente (Joker del 2019), quel che non funziona è l’approccio semplicistico al tutto. Il discorso è politico, il modo di affrontarlo ruffiano.
E se l’atto processuale alla maschera del Joker, nonché al circolo mediatico che ne sostiene indirettamente i (dis)valori, può risultare interessante per tutte quelle ingerenze che cinema e televisione generano all’interno della società, ciò che fa traballare il discorso è l’incoerenza di fondo che vede nell’accusato e nell’accusatore la medesima persona: Todd Philips. Un cortocircuito che trova probabilmente le proprie radici in questioni economiche, ossia nella perversa idea di poter vendere la ramanzina a chi prima si è venduta la caramella di troppo. In sintesi: una Hollywood vittima e carnefice della teatralità del sentire contemporaneo.

Un modo bipolare di affrontare i temi e i volti del primo film che, per quanto coerente con la natura del protagonista e della realtà filmica in cui è calato (es. asp. metacinematografico), non trova ulteriori agganci all’interno dell’opera, rimanendo così come una bozza inconcludente di un’idea ipoteticamente vincente. Un modus operandi che caratterizza tutto il lavoro fatto da Todd Phillips, relegandolo a un mero collage di siparietti tragicomici e performance artistiche fini a se stesse. Tanti piccoli spezzoni, inframezzati da una love story insignificante che, per quanto capaci di trasformare un processo giudiziario in una specie di soap opera, incasellandolo perfettamente nella nostra contemporaneità, non riescono ad essere un terreno fertile per un atto d’accusa credibile, solido come vorrebbe essere.
E per quanto dal film emerga un’interessante riflessione nei confronti degli emuli, uomini la cui pericolosità è dettata dalla loro incapacità di capire i fenomeni che ripropongono, l’insieme risulta ugualmente manchevole, privo di uno sviluppo e di una conclusione. Un peccato se si pensa che la società presente in Joker: Folie à deux, specchio distorto della nostra, sia un sistema in simbiosi con i media e desideroso di un’agente del caos in grado di stravolgere l’ordine morale precostituito. E se l’atto meta cinematografico unito alla dimensione musicale dell’opera fanno della loro teatralità il canto del cigno ideale per una maschera in grado di stravolgere il mondo più qualsivoglia uomo, Tod Phillips sembra quasi dimenticarsene, preferendone dare più spazio al nuovo album di Lady Gaga.
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