Gli spazi di The Metamorphosis of Birds non sono mai percepibili nella loro interezza, ma bensì come frammenti di un insieme al quale solo la regista ha accesso. Spazi che non sono strettamente scenari, ma bensì diapositive che sembrano voler ereditare dal cinema di Jonas Mekas la possibilità di far dell’immagine un mezzo in grado di rileggere e di mistificare la memoria umana per disporla a mo’ di flusso esistenziale, interrogando la natura dei dispositivi e del medium con cui si interfaccia. Lo scarto con un’opera come As I Was Moving Ahead Occasionally I Saw Brief Glimpses of Beauty però è radicale, poiché il film di Catarina Vasconcelos è un continuo processo di messa in scena che, precludendo qualsivoglia forma di autenticità ai propri ricordi, si apre verso una dimensione poetica che fa del fare cinema una riflessione sullo sguardo.

The Metamorphosis of Birds è un’opera composta da svariati close-up che limitano la visuale dello spettatore, facendola focalizzare su tutti quei dettagli e simboli che hanno plasmato i perché e i come di una famiglia. Dettagli che elevano il grado d’intimità di ogni sequenza, percorrendo l’anatomia della memoria di Catarina Vasconcelos come se a scorrere su schermo fosse un album fotografico. Un album in grado di richiamare le estetiche da social, in particolare quelle di Instagram e Tumblr, in modo così evidente e interiorizzato da risultar coerente con quella che è a tutti gli effetti una contemporanea galleria di ricordi. Il modo di concepire l’immagine si fa così umano e il rapporto con i dispositivi simbiotico. Il rumore dei vari fotogrammi, forzato in fase di post-produzione, potrebbe voler raffigurare non solo la rarefazione della memoria umana, ma anche il modo di rappresentarla all’interno di un cinema che in passato ha avuto l’occasione di interfacciarsi con mezzi come le handycam in vari contesti e sottogeneri.

Quel che però rende ancora più netto lo smarco tra The Metamorphosis of Birds e altre opere come Gli Ultimi Giorni dell’Umanità di Enrico Ghezzi è la totale mancanza di autonomia da parte delle immagini. Immagini che non sono in quanto tali, ma in quanto funzione di un sentiero fatto di parole, di un percorso tanto umano quanto artistico. Il fine ultimo di Catarina Vasconcelos non sembrerebbe quello di fornire allo spettatore un nastro in grado di scorre e riavvolgersi all’infinito, ma di dare una collocazione di senso ai propri ricordi, formulando un racconto che, mediante l’utilizzo di alcuni simboli,è capace di farsi universale. Il mare (il padre), gli alberi (la madre) e gli specchi (il film di per sé) sono alcuni esempi di quanto detto, esempi che trovano compimento in una delle sequenze finali dell’opera: un uomo e una donna che viaggiano verso l’orizzonte su una barchetta con un arbusto a fargli compagnia. La conclusione è presto detta: il viaggio della vita lo si fa a cavallo su ciò che sono stati per noi i nostri genitori.

La dimensione della memoria in The Metamorphosis of Birds oltre ad essere una questione di distanza tra la camera e ciò che è ricordo (close-up), è anche un fattore di omissione. Quel che è nascosto nell’inquadratura o è escluso da essa è frutto di una manipolazione che la regista non manca di sottolineare attraverso immagini come quella della lente in mezzo al mare. Una lente che capovolge il panorama, distorcendolo nelle sue coordinate, per suggerire come la mistificazione della memoria vada di parsi passo con il fare cinema. Un gioco di nascondigli a cui la stessa regista partecipa, occultandosi dietro a specchi, anfratti o ai margini stessi di una sequenza. Un modo per insidiarsi tra le pieghe della materia e appropriarsi umanamente ed intellettualmente di tutti quei luoghi che il film affronta in corso d’opera. Segno di un passaggio, nonché di un ricordo che si è fatto carne assieme agli spazi di cui è composto. C’è qualcosa di insondabile in The Metamorphosis of Birds, qualcosa che sfugge all’occhio dello spettatore e che Catarina Vasconcelos rappresenta non solo con il suo corpo o con quello dei suoi fratelli, ma anche mediante l’utilizzo dei riflessi/specchi.

Specchi/lenti che intrappolano l’immagine nei proprio margini o che suggeriscono spazi e contenuti al di fuori di essa. Superfici in grado di simboleggiare l’obiettivo di una telecamera capace di dettare i confini della narrazione, trovando una quadra tra ciò che è documento/narrazione e quel che muove il tutto dai margini. Lenti che sono il tramite tra a memoria dei protagonisti, qua intesa come contraffazione del reale, e il cinema in quanto rappresentazione che falsifica il tutto per veicolare del contenuto. Emblematica è la sequenza in cui uno dei personaggi, passando una lente d’ingrandimento su un foglio bianco (su cui sono adagiate delle foto), crea l’illusione di un “obiettivo” in grado di rivelare qualcosa che risiede al di là dello spazio filmico. Uno spazio che dissimula continuamente se stesso, tanto da poter contenere dentro di sé dei sipari che si aprono sulla natura figurativa del film. Una natura viva, una natura morta. Una natura in grado di raccontare il ciclo della vita e gli aspetti più labili della memoria. Una natura composta da alberi, oceani, foglie, fiori e animali che, per il loro essere simulacri di un’esistenza passata, dettano le coordinate di un panorama autobiografico. Il concetto di metamorfosi diventa quindi un’inevitabile metafora della crescita di Catarina Vasconcelos e dei suoi fratelli/sorelle, nonché del cambiamento di quel tutto che sono stati i loro genitori.

È interessante anche sottolineare l’utilizzo degli oblò poiché, oltre a richiamare le forme circolari dei vari specchi/superfici con cui la regista altera la percezione delle cose, sembrano quasi voler fare di alcuni spazi/stanze degli interni di una macchina da presa. Una soluzione visiva che, per quanto classificabile come sovralettura, risulta potenzialmente in linea con la natura plastica e intima degli spazi, nonché con l’atto della messa in scena. Quel che stupisce di The Metamorphosis of Birds in tutto ciò è il suo aspetto estremamente materico a fronte di temi astratti e nebulosi come la memoria. Guardando il film di Catarina Vasconcelos sembra infatti di trovarsi di fronte ad una vetrina in cui vari oggetti e significati vengono esposti a mo’ di collezione personale. Un cofanetto di memorie che l’opera espone con un approccio in bilico tra il documentario e la finzione, tra ciò che è stato e quel che può diventare attraverso una rielaborazione passa attraverso dispostivi, media e memoria umana.

The Metamorphosis of Birds in tutto ciò è un film che si sviluppa attraverso temi come il lutto, la vita la crescita personale, la felicità e il dolore. Un’opera che, sebbene contenga dentro di se emozioni forti, riesce comunque a fornire immagini controllate e ordinate. Immagini in cui tutto è disposto al servizio di una telecamera volta a coglierne la storia insita nei dettagli. Nel lavoro di Catarina Vasconcelos ogni cosa appare su schermo come se appartenesse ad un quadro di natura morta, ossia ad una dimensione in cui tutto deperisce, mutando nella forma. Una dimensione in cui solo l’arte, nella sua abilità di rielaborare e rendere eterna ogni memoria, può dare all’uomo la possibilità di fuggire dall’oblio.

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Classificazione: 4.5 su 5.

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