Memoria è un film d’atmosfera. Un’opera che invita lo spettatore a contemplare le proprie immagini, ad interrogare l’ontologia di quel suono che, all’inizio della narrazione, sveglia la protagonista all’alba. Un suono, di origine enigmatica, che pone il mondo del racconto sotto la prospettiva di un’indagine che esplora la natura del medium cinematografico, ragionando sui suoi meccanismi narrativi e percettivi. L’uso esclusivo di totali da parte di Apichatpong Weerasethakul, ad esempio, riflette la volontà di rendere gli ambienti fondamentali, centrali in quella ricerca di senso che muove il personaggio interpretato da Tilda Swinton. In questo modo, gli spazi si trasformano in veri e propri quadri, rendendo il tutto simile a un’opera museale in grado di accostare lo spettatore alla protagonista in una sensazione di estraniamento. E non è un caso, infatti, che nella prima parte del film compaia una scena in cui un frammento di ambiente è racchiuso all’interno di una vetrina.

Un momento che formalizza i concetti appena espressi, ponendo l’accento sullo sguardo, su come la ricerca di senso o contenuto possa condurre a una passività intrinseca dell’essere spettatori, riducendo così la realtà a una dimensione bidimensionale. La quasi assenza di movimenti di macchina, con cui Apichatpong Weerasethakul contribuisce a smaterializzare il tempo, potrebbe essere indice ed enfasi di quanto detto. Un approccio che apre le porte ad una dimensione metacinematografica in cui il pubblico si ritrova a richiedere al film ciò che la protagonista domanda alla propria realtà: un perché al guardare. Memoria è un film sul fare cinema, sul modo in cui un’indagine di significato può essere mediata attraverso soluzioni visive e sonore, capaci di trasformare l’opera in un’esperienza sensoriale e personale, distante dalla narrativa più tradizionale.

In tutto ciò i dispositivi, in questo caso prettamente digitali, si rivelano fondamentali nel tentativo di ricostruire un significato, nel restituire una percezione. La sequenza dello studio di registrazione, dove un tecnico del suono riesce a ricomporre artificialmente il rumore avvertito da Jessica (Tilda Swinton), è piuttosto eloquente. Apichatpong Weerasethakul, ponendo il cinema alla stregua di un dispositivo, consegna un’insieme di ricordi che sottolineano la natura fantasmica ed inafferrabile della memoria. Al tempo stesso sottintende il medium in quanto mezzo per rielaborare contenuti, amplificandoli nel senso tematico. Un modus operandi che sembra quasi sottolineare quanto il cinema debba fornire al pubblico dei nuovi modi di leggere i propri testi. Nuovi sensi con cui lo spettatore può rapportarsi con la visione, con un racconto in grado di trascendere la sua veste più classica per porsi come lettura più diretta di ciò che prende in esame. Più diretta, in quanto più peculiare: filtrata da un’esperienza tanto universale quanto individuale.

Parole e suoni che emergono dall’off-screen, simili a delle reminiscenze, che, essendo a metà tra l’artificioso e l’astratto, danno vita a un racconto sospeso tra il reale e il fantastico, tra l’inventato e ciò che è stato. Una memoria priva di un corpo tangibile e definito, percepibile sono in quanto essenza, in quanto motore per interrogare il presente.La sequenza finale, in cui il surreale si appropria dell’origine di quel suono, conferma, anche grazie alla sua disomogeneità rispetto al resto, una sorta d’impossibilità di trovare una risposta definitiva al tutto. Un modo per interpretare quel suono come un innesto artificioso. Un atto estraneo all’opera stessa, motore per un’indagine sul mondo e sul cinema. Memoria è un film si articola in spazi liminali che, invece di essere svuotati da un’umanità in grado di definirli nella propria funzionalità, risultano alienanti nella loro sensorialità, nel modo di rapportarsi con lo spettatore attraverso una tridimensionalità apparente. Un escamotage che, con le dovute precisazioni, può ricordare La Zona d’Interesse di Jonathan Glazer. Immagini antitetiche nel loro modo di mostrare e di far sentire, che sembrano suggerire una sorta d’impossibilità di avere una coscienza e un controllo su alcuni fenomeni che attraversano l’umanità e il suo tempo.

Valutazione:

Classificazione: 4.5 su 5.



Memoria è un film sul cinema, sul modo di mediare quest’ultimo in

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