Here di Robert Zemeckis, ancora prima essere un film sul tempo, è un film sul cinema, sulla memoria e sul digitale. Un lavoro che unisce le teorie e le sperimentazioni del cinema d’essai con l’immediatezza e l’emotività dell’intrattenimento più popolare. Un modus operandi, tipico del regista, che sottolinea quanto la tecnologia sia il racconto e il costume di un’epoca, un modo di sentire e percepire la vita. Here, a tal proposito, è un’opera che si costruisce attorno ad uno spazio in cui il cinema ripensa all’umanità e alle sue emozioni attraverso la lente distorta dell’intelligenza artificiale e dell’estetica art-house, dimostrando quanto alcune impostazioni stilistiche, ormai profondamente assimilate dal pubblico moderno, riescano a sostenere narrazioni universali come quelle proposte nel film.
In questo senso, l’opera si fa portavoce di un medium capace di dialogare con un pubblico ormai abituato a decodificare linguaggi visivi complessi e a riconoscere i segni di un’epoca dominata da artifici vari e da una sovrabbondanza d’immagini. Robert Zemeckis in Here utilizza il cinema come un laboratorio, in cui passato, presente e futuro si sovrappongono e si confondono, creando una dimensione temporale fluida e multiforme. Una fluidità che si riflette nel modo in cui la memoria diventa protagonista: non più un semplice archivio statico, ma un’entità viva, soggetta a manipolazioni e reinterpretazioni. Attraverso questa prospettiva, il film si pone come una riflessione sul potere del cinema di catturare l’essenza del tempo e trasformarla in qualcosa di eternamente presente.

Robert Zemeckis, nel suo intrecciare la storia di un luogo con quella di chi lo abita, rimarca come il medium, anche nell’apice della sua artificiosità, riesca ad essere uno strumento potenzialmente umano. Un processo che non tenta di nascondere i suoi limiti e il senso di manipolazione che si porta appresso. Guardando Here, infatti, si ha come l’impressione di essere d’innanzi ad un desktop-movie in cui le varie sovrapposizioni di fotogrammi ricordano le animazioni a carosello dei primi anni 2000 dei sistemi Windows. Con il film di Robert Zemeckis, sembra quasi di entrare in un super computer che, in quello che si potrebbe definire come un flusso di coscienza, calcola e ricalcola la memoria di un luogo. Un luogo, simile ad una vetrina d’esposizione, in cui il life-style americano, forte dei suoi marchi e dei suoi miti, si evolve e muta assieme agli usi e costumi che li accompagnano. In Here la singola immagine/inquadratura diventa così il prodotto finale, il contenitore ultimo di un pensiero e di un modo di intendere il cinema e la vita.
Il montaggio interno alla singola inquadratura è piuttosto esemplare di questo concetto, proprio come lo è l’idea di usare uno spazio ed un’unica inquadratura per mettere in scena la storia di un’umanità e delle sue tecnologie. Un approccio in linea con le politiche del cinema d’autore contemporaneo, influenzate a loro volta dalle visioni produttive e stilistiche di aziende come l’A24. Aziende che hanno contribuito a rendere l’immagine come un prodotto di design, un oggetto riconoscibile, accomodante ed accattivante con cui fidelizzare il proprio utente. A questo modo l’opera di Robert Zemeckis si incasella perfettamente nella propria contemporaneità, riuscendo a dimostrare che il cinema non è solo uno specchio della realtà, ma anche uno strumento capace di ridefinirla e reinterpretarla attraverso l’uso di tecnologie avanzate. Con Here è la sensibilità dell’immagine a cambiare, facendosi ancora più fluida e distante dai paradigmi dettati dal medium. Con Here, ancora più di ieri, si rimarca quanto al giorno d’oggi l’immagine sia il vero racconto, ormai ibrido semantico e sempre più di difficile categorizzazione.

E quando Robert Zemeckis decide di utilizzare il controcampo, mediante l’uso di uno specchio, o di muovere la macchina da presa sulle note nostalgiche del discorso finale di Robin Wright e Tom Hanks per mostrare quell’oltre che si cela dietro l’unica inquadratura da lui utilizzata per formalizzare il piano esistenziale del suo cinema, ecco che si afferma un discorso: non vi è alcuna camera da presa/telecamera di sorveglianza, ma solo una casa dalle forti connotazioni digitali. Here è perciò uno spazio simulato in cui il cinema, abbracciando nuovi linguaggi sempre più confusi e complessi, mette in scena una memoria che non può prescindere dalla contemporaneità, da quei dispositivi elettrici e digitali che oggi la conservano e la rendono facilmente consultabile.
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