Se è vero che la cifra stilistica di Robert Eggers si è da sempre consolidata attraverso un continuo rifarsi al cinema del passato come un culto da riproporre nel presente, allora Nosferatu, nella sua accezione di remake, è forse l’opera più radicale del regista. Risulta impossibile, infatti, non intercettare le varie ispirazioni e riproposizioni visionarie di autori come Friedrich Wilhelm Murnau e Werner Herzog che identificano il film come una sorta di rituale volto a fare delle immagini un terreno fertile per un dialogo con il presente. Una specie di celebrazione che rilegge la natura delle opere precedenti, dando forma ad una storia più viscerale e fisica, ma inevitabilmente condizionata dalle fonti da cui attinge, senza quindi risultare del tutto originale o autonoma. Una rilettura che trova il suo fulcro nella figura femminile di Ellen Hutter, interpretata da Lily-Rose Depp, e nel costante interrogarsi sul concetto di fede, o meglio, sull’utilità dei racconti popolari al giorno d’oggi.

Il Nosferatu di Robert Eggers, posto anche sotto la luce di The VVitch, sembrerebbe, infatti, intercettare la funzione catartica che la donna ha ricoperto in questi ultimi anni nel cinema di genere, ponendola come vittima sacrificale in una cultura contraddistinta da uomini con la smania di potere. Non è un caso, quindi, che il film si apra con una scena emblematica in tal senso: una donna nuda, a cavallo, utilizzata come capro espiatorio per individuare la tomba di un vampiro, in fede al folklore. Esemplare è anche il primo piano su Lily-Rose Depp in cui, per via del copricapo e dei fiori che adornano i suoi capelli, appare come una “santa/ martire” alla A24 maniera (vedi Midsommar). La sequenza finale inoltre, alla luce di quanto detto, non è che la chiusura ideale del discorso: vittima e carnefice periscono assieme in un “ritratto” di natura morta. Appare quindi chiaro l’intento di ricoprire di sacralità la figura femminile che, da un decennio a questa parte, ha simboleggiato rinascita all’interno del panorama horror art-house. Inoltre l’idea di dare connotati più terreni al conte Orlok, dotandolo di baffi e cappelli, risulta in linea con quella volontà di associare quel male metistofelico, descritto nella prima parte del film, ad un qualcosa di più materico, di più umano e di rintracciabile nella contemporaneità. Una rappresentazione, quella del vampiro, fedele al Dracula di Bram Stoker che riconferma Robert Eggers come un autore interessato a mettere in scena la storicità e i principi che muovono i culti che prende in esame, senza mai sconvolgerli nell’identità.

Il Nosferatu di Robert Eggers è di conseguenza un’opera fortemente legata ai simboli, tanto da centrare le proprie immagini attorno ad essi. Anche a livello di scenografia, alcuni scorci sembrano disegnare nell’inquadratura delle figure geometriche che rendono ancora più palese la natura liturgica dell’opera. A guardarlo con attenzione ci si accorge infatti di quanto il regista non sia solo un archeologo cinematografico, interessato a dissotterrare temi e atmosfere del passato, ma anche un’imbonitore del passato. E in un’opera come Nosferatu, in cui una certa sacralità è invocata da un uso smodato di croci, certi discorsi acquisiscono radicalità, non solo al livello formale ma anche di contenuto. Una radicalità che porta il regista ad esplorare le proprie origini, a dare voce ai perché del suo cinema.

Un regista disaffezionato al suo tempo, concentrato a scorrere una storicità per ritrovare un rigore formale con il quale poter affermare miti e vecchie leggende, domandonsi quanto il pubblico sia disposto a credervi. Da The VVitch, passando per The Lighthouse e The Northman, Robert Eggers si è sempre interrogato sul potere delle immagini, su quanto le produzioni del passato abbiano fornito immaginari così potenti da essere gli unici a poter accogliere il potere catartico di alcune storie. E in un’epoca come la nostra, priva di certezze e smarrita in un marasma di continui sconvolgimenti, ecco che la necessità di poter credere in un qualcosa, abbraccia tutti quegli autori, e aziende, che danno vita a miti, a rappresentazioni sacre e inossidabili nei propri valori e caratteri.

Ciò che però allontana le varie produzioni di Robert Eggers da un mera esibizione di forma è una visceralità che dona matericità ai vari racconti. Le varie sequenze di possessione sono esemplari, espressione di un male e di un modo di fare cinema che trova nella carne una rappresentazione più diretta, meno aleatoria.D’altronde nel cinema del regista il corpo è sempre stato raffigurato come il simulacro dei vari culti presi in esame, estensione ultima dei fenomeni descritti. In tal senso The Northman, nella sua dimensione muscolare / maciste, è forse l’opera più esemplare, per quanto in Nosferatu il corpo del vampiro rappresenti la quintessenza della poetica del regista, di quel suo riproporre e ricalcare il passato per cogliere il sentire contemporaneo ed esorcizzarlo mediante sinistre leggende.

Un film che, per quanto capace di generare atmosfere e suggestioni funzionali al racconto e forti di una forma quasi impeccabile, va in contro a cadute di stile poco trascurabili. Dai jumpscare ad alcune scelte di regia poco eleganti, tra cui alcuni close-up sugli occhi del conte Orlok, l’aspetto autoriale dell’opera cede il passo a soluzioni più commerciali e compiacenti, non troppo lontane a poetiche alla Blumhouse maniera. Un tentativo di emancipazione da parte di Robert Eggers, che però si scontra con il suo stesso modus operandi: un approccio che tende ad ossidare le sue opere nei riferimenti e nei rifacimenti intellettuali, finendo per chiuderle su sé stesse e sulle fonti da cui traggono ispirazione. In ciò Nosferatu è un’opera che non scomoda né il genere e né lo spettatore, fornendo uno spettacolo fin troppo rispettoso di quelli che lo hanno preceduto, ma ugualmente piacevole per la bravura tecnica che ha sempre contraddistinto l’autore.

Valutazione:

Classificazione: 3.5 su 5.

Una replica a “NOSFERATU, un film di Robert Eggers”

  1. Io l’ho trovato magnifico, un film stupendo in cui ho rivisto tantissimo di Eggers in particolar modo la sua passione per il folklore che qui è sempre presente. Apprezzo anche il modo in cui ha gestito il rapporto tra Ellen e Orlock, un rapporto tossico, violento, in cui i due si odiano ma non possono quasi fare a meno dell’altro, in particolar modo Orlock. Ci sono tante sequenze che ho amato, in particolar modo quella in cui Thomas si trova nella foresta e arriva la carrozza. Quel tipo di illuminazione alle sue spalle e dall’alto era meravigliosa e mostra una grande attenzione del regista. Per me è stata un’opera grandiosa e spero che Eggers continui a fare molti film perché è un regista che ha tanto da dire.

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